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venerdì 10 luglio 2009

Chimica, la fuga dei gruppi dal Lazio addio a un patrimomio di competenze

MONTEROTONDO e Pomezia. Norde sud di Roma. Tra loro, una cinquantina di chilometri e la storia della chimica nel Lazio. Due poli di ricerca di altissimo livello, vanto regionale e nazionale insieme, che entro fine anno non esisteranno più. A meno di soluzioni per ora lontane, il centro Eni di Monterotondo e l' Istituto di biologia molecolare di Pomezia sbarreranno i cancelli. Inghiottendo ingegni e brevetti, spegnendo due motori, simbolo e traino per l' economia regionale. La chimica nel Lazio, 18 mila addetti e 300 aziende per lo più farmaceutiche sparse tra Latina, il distretto di Pomezia e Frosinone, è in crisi. Travolta dalla terribile congiuntura, come altri settori. Ma anche da un cambio di pelle che le multinazionali chiamano "ristrutturazione". Le cause? Brevetti scaduti dei farmaci e generici che avanzano, la competizione sui costi vinta al ribasso da India, Egitto e Cina, il profitto che le penicilline non garantiscono più. Meglio il biotech e gli antitumorali con la ricerca base in Usa, la produzione in Romania e la distribuzione in Italia. «Ormai siamo solo mercato, il quinto del mondo per consumo», avverte Dario D' Arcangelis, segretario della Filcem Cgil di Latina, dove il farmaceutico pesa più del 40% del Pil totale, 13 mila lavoratori, una decina di multinazionali e un grande indotto. «L' isola felice è finita», dice. «C' è un' emorragia di posti di lavoro». Tra questi gli informatori scientifici, tanti a Latina, 5-6 mila nel Lazio, 30-35 mila in Italia. È la crisi nella crisi: le multinazionali si specializzano, lasciano i farmaci di uso quotidiano, viene meno il rapporto con il medico di famiglia. La regione Lazio ospita da decenni le più grandi firme del farmaco, molte arrivate grazie ai fondi della Cassa per il Mezzogiorno: Merck Serono, Sigma Tau, Menarini, Pfizer, Wyeth, Abbott, Bristol-Myers Squibb. I prodotti chimici sono al primo posto nelle esportazioni: 5,1 miliardi di euro nel 2008, l' 11% in più rispetto all' anno prima. Nel 2009 andrà peggio. Crollo del 20% nella produzione e già 2.760 lavoratori tra mobilità e cig. «Senza scelte strategiche, possiamo dire addio all' industria chimica nel Lazio», si allarma Tina Balì, segretario regionale della Filcem-Cgil, che insieme a Cisl e Uil ha guidato lo sciopero nazionale dello scorso 24 giugno. Nonostante le protestee la lettera inviata all' amministratore delegato dell' Eni, Paolo Scaroni, da Marrazzo e Zingaretti, il colosso energetico italiano ha deciso: chiuderà il centro di ricerca di Monterotondo, dopo 40 anni di presenza. Ai 58 ricercatori la scelta: Novara, Milano o anche Roma ma a fare altro, niente più ricerca. «In questa storia perde l' Eni, vanificando lavoro e commesse, e perde il territorio», dice Edoardo D' Angeli, ricercatore Eni da 29 anni, memoria storica del complesso di Monterotondo che presto ospiterà i laboratori di neuroscienze del Cnr. «Negli anni ' 90 eravamo 340, mèta ambita dei laureati romani», racconta. All' epoca l' Eni aveva anche la farmaceutica, poi ceduta al gruppo Menarini. Celebri i brevetti per l' ormone della crescita e il latte ad alta digeribilità. «Poi ci siamo concentrati sull' ambiente per migliorare l' impatto delle raffinerie». E qui i risultati non sono mancati. Le alghe che assorbono la Co2, da cui trarre biodiesel, che stanno per essere testate a Gela. Un disperdente biodegradabile per il petrolio sversato in mare o in terra che ha contribuito a bonificare l' area su cui ora sorge la nuova fiera di Rho. Argille speciali, gli zeoliti, per proteggere le falde acquifere, in grado di fermare gli inquinanti dei petrolchimici ma anche di altre tipologie di aziende, permettendo all' acqua di filtrare. Tutti brevetti targati Monterotondo. All' altro capo di Roma intanto, i laboratori dell' Irbm di Pomezia sono già chiusi dal primo luglio, i ricercatori a casa con lo stipendio fino a settembre, poi scatterà la cassa integrazione. Senza un accordo per cedere stabilimento e brevetti, la proprietà della Merck chiuderà Pomezia entro l' anno: 300 addetti con l' indotto, molti giovani e donne sotto i 40, almeno 50 ricercatori stranieri, alcuni già volati all' estero. E risultati eccellenti: vaccino per l' epatice C, molecola per la cura dell' Hiv, studi avanzati su leucemie e malattie cardiovascolari. «I curriculum vanno a ruba, io sono stato preso in Olanda, ma ci hanno chiesto di non andare via, perché siamo il patrimonio dell' azienda», riferisce un ricercatore di 34 anni. Un filo di speranza è appeso al tavolo convocato per metà mese. Un gruppo di imprenditori guidati dalla Uir (l' Unione degli industriali romani) ha preparato con Deloitte un piano industriale per rilevare l' Irbm e incontrerà sindacati, regione e manager della Merck. Per salvare il centro e un simbolo. -
VALENTINA CONTE
La Repubblica - Roma
7 luglio

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