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giovedì 15 ottobre 2009

Pfizer-Wyeth, il colosso che investirà in ricerca più dello stato italiano

In mezzo a un parco di 70 mila metri quadri, non lontano dal fiume Thames e sorvegliato notte e giorno da guardie e telecamere, si nasconde uno dei più agguerriti poli di ricerca del mondo. E’ lì, infatti, a Groton, una cittadina del Connecticut a un paio d’ore a nordest di New York, celebre soprattutto per la produzione del Nautilus e altri sottomarini, che la Pfizer, primo gruppo farmaceutico internazionale, tenta segretamente di trovare nuove medicine contro l’Alzheimer e altre malattie che affliggono l’umanità. Ed è sempre lì che vengono coordinate le attività di migliaia di biologi e di chimici della multinazionale. «Il nostro mestiere non è vendere i farmaci ma scoprirli», ripetono in coro gli 86mila dipendenti della Pfizer, dal chief executive Jeff Kindler fino all’ultimo stagista. Uno slogan che nel passato serviva soprattutto a giustificare l’alto costo delle medicine, specie negli Stati Uniti, ma che ora sta diventando una necessità. Le società farmaceutiche, che nel complesso hanno retto bene durante la recessione – le spese per la salute sono le ultime ad esser tagliate si trovano ora in una situazione delicata perché molti brevetti stanno per scadere. L’esempio migliore riguarda proprio la Pfizer che nel 2011 perderà l’esclusiva sul Lipitor, la più famosa pillola anticolesterolo le cui vendite nei soli Usa ammontano a 5,9 miliardi di dollari, e nel triennio 2011-13 dovrà rinunciare a quella sul Viagra. Di qui il tentativo di Big Pharma di accelerare le attività di ricerca, facendo perno – in molti casi – sulle accresciute dimensioni aziendali. Mentre infatti la crisi economica ha portato a una stasi delle fusioni in altri comparti, le aziende farmaceutiche hanno continuato a consolidarsi. A marzo 2009 la Merck ha comprato la Schering Plough per 41 miliardi di dollari. La Roche ha pagato 47 miliardi per conquistare la Genentech, di cui aveva solo una quota. E la Pfizer sta completando in queste settimane una maxioperazione annunciata a gennaio 2009 dopo un anno di trattative: l’acquisto della Wyeth per 68 miliardi di dollari, in contanti, azioni e un prestito di 22,5 miliardi da cinque banche di Wall Street.Destinato a sancire l’egemonia della Pfizer e a finire al secondo posto nella hit parade delle fusioni americane dopo l’accordo del 2006 tra At&t e BellSouth per 70 miliardi, il matrimonio con la Wyeth ha già ricevuto il via libera dalla Cina, dall’Australia e dall’Unione europea, che però ha imposto alcune dismissioni nel settore veterinario per questioni di antitrust. Un ordine rispettato con solerzia: alla fine di settembre le due società hanno venduto alla tedesca Boehringer Ingelheim molte attività, tra cui il centro di ricerca veterinaria della Wyeth a Fort Dodge nel Iowa. Per il momento, però, la Pfizer non rinuncerà al Palladia, il primo anticancro specifico per i cani. Dopo l’ultimo nullaosta dell’antitrust americano, previsto per questa settimana, l’accordo PfizerWyeth diventerà operativo. Ormai sembra solo una formalità. Tutto è pronto. La Pfizer, che con la fusione spera di risparmiare 4 miliardi di dollari di costi e raggiungerà dimensioni colossali, unendo il suo fatturato (48 miliardi di dollari) con quella della Wyeth (22 miliardi) ha varato da alcuni mesi un nuovo assetto per le attività di ricerca nel futuro. La nuova società avrà un potenziale di spesa in ricerca di quasi 8 miliardi di dollari, più di quanto spende lo stato italiano.A Martin MacKay, responsabile del centro di Groton, sarà affidato uno dei due nuovi team: chiamato PharmaTherapeutics research, si concentrerà sulla scoperta di piccole molecole. Il secondo team, BioTherapeutics reasearch, guidato da Mikael Dolsten della Wyeth, si occuperà della ricerca sulle grandi molecole compresi i vaccini. Sia MacKay che Dolsten dipenderanno direttamente da Jeff Kindler: «La creazione di due strutture di ricerca distinte ma complementari dirette dai maggiori esponenti scientifici delle due società ha spiegato il Ceo ci permetterà di puntare su obiettivi precisi, ridurre la burocrazia e di avere un sistema di controllo più chiaro». L’acquisizione di Wyeth si inserisce in una strategia perseguita da almeno un decennio dai vertici della Pfizer. Nata nel 1849 l’azienda produceva all’inizio antiparassitari e acido citrico, servendosi per quest’ultimo di materie prime importate dall’Italia. Con lo scoppio della prima guerra mondiale le importazioni furono interrotte e i chimici della Pfizer dovettero trovare sistemi alternativi, specializzandosi così nelle tecniche di fermentazione che si rivelarono utilissime per la produzione di massa di penicillina durante il secondo conflitto mondiale. Dopo la guerra la Pfizer accelerò l’espansione all’estero, entrò nel settore veterinario, aprì nel 1960 il centro di Groton, da cui uscirono medicinali famosi come Zoloft, Lipitor e Viagra. Nell’ultimo periodo le dimensioni aziendali sono cresciute con una serie di maxiacquisizioni: la WarnerLambert nel 2000, la Pharmacia nel 2002, la Sugen nel 2006 (che produce il Sutent a Ascoli Piceno) e poi la Wyeth. Non tutte queste operazioni sono state gradite dagli azionisti, per via dei contraccolpi negativi sulle quotazioni del titolo. E fu proprio questo malumore a portare all’estromissione nel 2006 del chief executive Henry McKinnell e alla sua sostituzione con Kindler, che era un outsider arrivato in azienda solo quattro anni prima, e che era più un avvocato che non un esperto di finanza o di biotecnologie. Una scelta in sintonia con le sfide della Pfizer, che deve navigare tra gli iceberg delle riforme sanitarie e delle cause legali. Proprio all’inizio di settembre la multinazionale ha pagato la multa record di 2,3 miliardi di dollari per chiudere la vertenza sulla vendita di 13 farmaci con tecniche di marketing non consentite dalla legge americana.ARTURO ZAMPAGLIONE
La Repubblica Affari e Finanza 12 ottobre 2009

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