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martedì 3 febbraio 2009

Pfizer Wyeth pillole & brevetti

Si consiglia la lettura dell'articolo in quanto da una spiegazione lucida e lineare dei fatti riguardanti il merger.
GR
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Chi è più forte fra un gruppo da 71 miliardi di fatturato e uno che ne fattura poco più di 20? Fra un colosso da 82mila dipendenti e uno da 30mila? La risposta non scontata ma sicura è che fra questi Golia e Davide, è ancora una volta il secondo il protagonista. La Pfizer, numero uno al mondo per giro d’affari, compra la Wyeth, n.12 nel ranking globale, perché ne riconosce di fatto la superiorità e l’adeguatezza tecnologica. E perciò non esita a mettere sul tappeto 68 miliardi di dollari, che oggi in tempi di credit crunch è una cifra iperbolica, ma anche in termini assoluti è il più grande merger da quello At&tComcast del 2005 che di miliardi ne valeva 70. La Pfizer non esita neanche a pagare il 17% in più della quotazione in Borsa della Wyeth, né tantomeno ad aprire una linea di credito da 22,5 miliardi con un pool di cinque banche (Barclays, Bank of America, Citigroup, Goldman Sachs e JP Morgan) che non credono ai loro occhi nell’intraprendere un affare così succoso in questi giorni di sofferenza. L’operazione era nell’aria da tempo, ma è stata rinviata proprio per riorganizzare il consorzio di banche finanziatrici che doveva essere guidato dalla Lehman Brothers, passata a miglior vita in settembre. Oltre a questo maxiprestito, per altri 20 miliardi l’operazione è finanziata con cash proprio, e infine per un’altra "fetta" di un terzo pressoché analoga con azioni da dare in concambio: la Wyeth avrà due consiglieri d’amministrazione mentre l’attuale Ceo Bernard Poussot, francese, 57 anni, ha accettato di farsi da parte. Tutto questo ha un nome e un motivo: brevetti. O meglio, scadenze degli stessi. Dopodiché, com’è noto, i farmaci diventano clonabili come generici, e per le compagnie originarie vanno in fumo profitti da favola spesso senza che ci siano in pipeline prodotti nuovi. Solo qualcuna, un po’ per lungimiranza un po’ per fortuna, si trova in posizione avvantaggiata: ha intrapreso linee di ricerca innovative, ha investito pesantemente nelle biotecnologie più avanzate, più costose e più rischiose, ha avuto il tocco magico di intuire combinazioni e formule vincenti. Fra queste, la più interessante è appunto la Wyeth. L’Enbrel, ad esempio, è un farmaco biotecnologico contro l’artrite reumatoide sviluppato originariamente dalla Amgen, una startup della Silicon Valley. La Wyeth ci ha messo gli occhi dall’inizio, cinquesei anni fa, quando la sua efficacia sembrava dubbia, ha finanziato ulteriori linee di ricerca, infine ne ha imbracciato la commercializzazione e poi la produzione, in America e nello stabilimento biotech stateoftheart costruito appositamente in Irlanda nel 2005 al costo di 2 miliardi di dollari. E’ un gran successo, e per di più il brevetto per le biotecnologie dura di più che non quello dei farmaci di sintesi medica: se ne parlerà fra una quindicina d’anno, senza contare che copiare un farmaco biotech è più difficile che imitarne uno chimico (infatti in questi casi si parla di biosimilarità).Sul fronte opposto della sfida tecnologicoscientifica si trova la Pfizer. Nel 2011 scadrà il brevetto del Lipitor, il farmaco anticolesterolo a cui la casa deve più di un quarto del suo fatturato, per la precisione 17,4 miliardi di dollari nel 2008. Una somma che l’azienda rischia di perdere visto che gli agguerriti produttori di generici sono pronti ad invadere il mercato con decine di farmaci analoghi altrettanto efficaci. Non manca neanche tanto alla scadenza del brevetto del sidenalfil, il principio attivo del Viagra: nel 2016 si può immaginare quanti prodotti basati sullo stesso principio si affacceranno su tutti i mercati. Ma prima ancora scade una lunga serie di altri brevetti: la società di analisi Datamonitor calcola che il 38,5% dei prodotti venduti dalla Pfizer fronteggerà la competizione dei generici. Perciò è urgente ampliare l’offerta. Anche a costo di rivedere posizioni intraprese di recente: nel 2006 la Pfizer aveva ceduto per 16,6 miliardi di dollari alla Johnson&Johnson la divisione "farmaci da banco" (la punta di diamante era l’antifumo Nicorette) per concentrarsi su quelli "da prescrizione". Oggi invece al momento di annunciare l’acquisizione Jeffrey Kindler, amministratore delegato del colosso newyorchese, dice che «un punto di forza saranno i farmaci da banco della Wyeth, unitamente ai vaccini, alle biotecnologie, ai medicinali veterinari del gruppo che stiamo rilevando».La Pfizer non è l’unica Big Pharma ad avere una storia di acquisizioni. La numero due del mondo, la britannica Glaxo, è diventata grossa e potente quando ha acquisito l’americana SmithKline per 120 miliardi di sterline nel 2001. E l’altro gigante inglese AstraZeneca è nato da una fusione del 1999 da 52 miliardi di sterline (che allora valevano 102 miliardi di dollari). Negli anni più recenti però il gruppo di New York è stato particolarmente attivo su questo fronte. Lo stesso blockbuster Lipitor deriva dall’acquisto per 116 miliardi di dollari nel 2000 della WarnerLambert che lo produceva, e tre anni dopo a 55 miliardi di dollari è ammontato il merger con il gruppo Pharmacia in cui era confluita tanti anni prima l’italiana Farmitalia, un’operazione finalizzata soprattutto ad acquisire l’antireumatico Celebrex e l’antitumorale Sutent. Ora, come sempre in occasioni del genere, il problema è l’occupazione: il gruppo consolidato avrà 129.500 addetti, e lo stesso Kindler ha detto senza mezzi termini che di questi il 15% perderà il posto, 20mila dipendenti. Per cominciare, con effetto immediato e prima della fusione, la Pfizer taglia 8.100 posti (di cui 800 nella ricerca) sui suoi 82mila. Un report datato 23 gennaio della Goldman Sachs conferma impietosamente: «Un’operazione di tale rilevanza ha senso solo se accompagnata da una profonda razionalizzazione, dall’eliminazione delle duplicazioni, dalla riduzione dei costi generali». Quanto alla ricerca, «bisogna concentrarsi sulle linee e sui prodotti che ragionevolmente avranno le migliori chances commerciali». Non è semplice, ovviamente, identificare in partenza questi filoni di ricerca, ma è fondamentale se si vuole assicurare un futuro alla Pfizer, che festeggia quest’anno il suo 160° compleanno: è stata fondata nel 1849 nel sobborgo ebraico di Williamsburg a Brooklyn dai cugini farmacisti tedeschi Charles Pfizer e Charles Erhardt. Il suo primo prodotto fu un antiparassitario, il santonin. Un farmaco da banco, come quelli che non voleva più produrre solo due anni fa.
EUGENIO OCCORSIO
La REpubblica - Affari e Finanza
Lunedì 02 febbraio 2009

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